L’azione di rivalsa: dolo e colpa grave
L’art. 9 disciplina l’azione di rivalsa della struttura sanitaria nei confronti dell’esercente la professione sanitaria, per i danni causati al paziente.
In particolare, l’azione di rivalsa potrà essere esercitata:
A) nei soli casi di dolo e colpa grave;
B) solamente se l’esercente la professione sanitaria sia stato parte nel giudizio (o nella procedura stragiudiziale preventiva);
C) a condizione che il danno sia stato accertato in base ad un titolo giudiziale o stragiudiziale;
D) sempre che l’azione di rivalsa venga intentata, a pena di decadenza, entro un anno dal pagamento della somma liquidata a titolo risarcitorio.
Per le ipotesi di colpa grave (e non di dolo) l’importo cui può essere tenuto l’esercente la professione sanitaria gode di un massimale. Per la precisione, per ciascun evento, detto importo non potrà comunque superare una somma pari al triplo del valore maggiore della retribuzione lorda o del corrispettivo convenzionale conseguiti nell’anno di inizio della condotta causa dell’evento o nell’anno immediatamente precedente o successivo.
Nasce spontanea la domanda. Tralasciando l’ipotesi di dolo, evidente a tutti, in cosa consiste la condotta caratterizzata da colpa grave? Da cosa si differenzia rispetto alla colpa non grave o lieve?
Non è sempre agevole valutare la misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e causativa del danno da quella che si sarebbe dovuta tenere per evitarlo.
In termini veramente indicativi può dirsi che la colpa è grave quando l’esercente la professione non si attiene ai protocolli ed alle linee guida obbligatorie ovvero quando il danno è causato per negligenza o imprudenza. Nella valutazione dovranno considerarsi la prevedibilità dell’evento, il grado di esigibilità in relazione alle competenze specifiche di chi ha cagionato il danno, eventuali ragioni, caso per caso, di urgenza.
Interessante, in proposito, la sentenza del Tribunale di Napoli, sez. VIII, del 26.11.2018. Secondo i giudici partenopei la Legge n. 24/2017 prevede la configurazione dell’intensità della colpa in relazione al rispetto o meno delle linee guida o anche delle buone pratiche. Per tale motivo il medico che, posto davanti alla risoluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, si sia attenuto alle linee guida o alle buone pratiche cliniche-assistenziali, non potrà mai essere considerato in colpa grave, e ciò indipendentemente dall’esito dell’intervento chirurgico, .