Mediazione immobiliare: nullità delle clausole con provvigioni inique

Muoversi nella “giungla” del mercato immobiliare non è sempre agevole. Per tale motivo ci si rivolge sempre più alle agenzie immobiliari, che operano in qualità di mediatori.

Per esercitare in qualità di mediatore immobiliare occorre essere iscritti nell’apposito ruolo tenuto dalle Camere di Commercio e, come detta la L. n. 57/2001 (che di fatto ha modificato solo alcuni aspetti già normati dalla L. n. 39/89), si devono possedere requisiti personali, morali e professionali, acquisibili mediante la frequentazione di un corso di formazione di preparazione ed il superamento di un esame camerale.

L’attività del mediatore è descritta dall’art. 1754 cod. civ.: <<E’ mediatore colui che mette in relazione due o pi parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza.>>.

Il compenso spettante al mediatore prende il nome di provvigione. Ai sensi dell’art. 1755, 1° comma, cod. civ. <<Il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l’affare è concluso per effetto del suo intervento.>>

Ci si domanda quando maturi il diritto alla provvigione, vale a dire quando può dirsi che l’affare si sia concluso.

La risposta ce la fornisce la giurisprudenza di merito e di legittimità. “Nel contratto di mediazione, il diritto alla provvigione di cui all’art. 1755 c.c. sorge nel momento in cui può ritenersi intervenuta la conclusione di un affare, ossia quando fra le parti messe in contatto dal mediatore si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna ad agire per l’esecuzione (o risoluzione) del contratto stesso” (Tribunale Livorno n.1193/2016).

Per tale” – l’affare – “deve intendersi il compimento di un’operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti o, detto in altri termini, il compimento dell’atto che dà all’intermediato il diritto di agire per l’adempimento dei patti stipulati o per il risarcimento del danno.” (Cass. n. 31860/2019).

Il diritto a percepire la provvigione matura, per quanto sopra, solo se e dal momento in cui l’affare è concluso. Tradizionalmente questo momento si fa coincidere con la sottoscrizione del contratto preliminare da parte dei promissari alienante ed acquirente (a nulla rilevando poi che il definitivo non venga eventualmente stipulato tra le parti), se non addirittura ancor prima con la sottoscrizione per accettazione da una delle parti della proposta già sottoscritta dall’altra ed inserita nell’apposita modulistica predisposta dall’agenzia.

Tuttavia, può verificarsi che il proponente revochi la proposta prima che questa sia portata all’attenzione della controparte (o prima che da questa sia accettata). In tal caso non sorge alcun vincolo giuridico, per l’effetto l’affare non può dirsi concluso. Conseguentemente, per quanto detto, non sorge il diritto alla provvigione per l’agente.

Nella pratica, tuttavia, i mediatori, per tutelarsi da eventuali situazioni quali quella testé descritta, inseriscono nei contratti di incarico una clausola che assicura comunque loro il diritto di percepire un compenso, seppure in misura ridotta.

Ebbene, una clausola siffatta è da considerarsi nulla in quanto vessatoria. Lo ha recentemente stabilito la Seconda Sezione della Suprema Corte di Cassazione con la sent. n. 19565 del 8.9.2020.

Era successo infatti che i venditori di un immobile si fossero rivolti ad un’agenzia conferendole l’incarico di alienare il bene di loro proprietà. A tal fine avevano sottoscritto un contratto che autorizzava le parti a recedere anticipatamente, dietro corresponsione all’altra di una penale per il recesso nella misura del 1% sul valore di vendita dell’immobile.

I venditori avevano poi esercitato il diritto di recesso, rifiutandosi tuttavia di dover corrispondere la penale.

Si era così instaurato il contraddittorio, che, percorsi i vari gradi di giudizio, era sfociato davanti alla Corte di Cassazione.

Gli Ermellini, con un’articolata pronuncia, hanno accolto le ragioni dei venditori, richiamando espressamente l’art. 33 del Codice del Consumo, che stabilisce la nullità della clausola che imponga al consumatore inadempiente il pagamento di una somma eccessiva a titolo di risarcimento o clausola penale.

Il grado che determina l’eccessività o meno della clausola deve essere direttamente parametrato all’attività effettivamente prestata dal mediatore. Ne consegue che, per l’ipotesi in cui la pretesa di quest’ultimo (come nel caso esaminato dalla Corte) non sia bilanciata sinallagmaticamente dallo svolgimento di significativa attività da parte sua, la provvigione non è dovuta. Ove così non fosse, infatti, si creerebbe a favore dell’agente un’automatica rendita di posizione, teoricamente svincolata dall’espletamento dell’attività tipica di ricerca di soggetti interessati all’affare.

Per percepire il compenso sarebbe insomma sufficiente per il mediatore far sottoscrivere il contratto di incarico ed attendere inerte, senza prestare attività alcuna, l’eventuale recesso. Non si può.

Stefano Manso