Abbiamo già diffusamente passato in rassegna la giurisprudenza maggioritaria che sta andando a formarsi in materia di locazioni ad uso diverso dall’abitativo. Per tali ipotesi i Tribunali italiani, in ragione dell’accertata contrazione del volume di affari che un esercizio commerciale stia subendo in dipendenza delle restrizioni normative, riconoscono a favore del conduttore il diritto a vedersi applicata una sensibile riduzione dell’importo del canone.
La giurisprudenza citata è maggioritaria ma non uniforme. Segnaliamo in proposito due provvedimenti di segno contrario.
Il primo è del Tribunale di Pisa che, con ordinanza del 30.6.2020, ha rigettato la domanda del conduttore di un locale commerciale che aveva chiesto la sospensione del pagamento dei canoni.
Secondo il giudice pisano la forzata chiusura dell’attività durante il periodo di lockdown non avrebbe cagionato un aggravio patrimoniale tale da alterare l’equilibrio di corrispettività tra le parti del rapporto contrattuale, vale a dire la concessione in locazione dell’immobile, da una parte ed il pagamento del canone, dall’altra.
Segnatamente – sostiene il Tribunale toscano – la normativa emergenziale «non ha affatto introdotto il diritto del conduttore alla sospensione del pagamento del canone locativo nella locazione di immobili destinati ad uso diverso dall’abitazione, ma ha consentito di valutare l’incidenza dell’emergenza sanitaria esclusivamente sotto il profilo della scusabilità dell’inadempimento contrattuale»
Ciò sta a significare, in buona sostanza, che la riduzione non opera automaticamente ma deve essere valutata caso per caso. Nello specifico, infatti, la parte istante non aveva portato alcun elemento dal quale potesse ricavarsi «un peggioramento della propria condizione patrimoniale tale da precludergli – in quanto eccessivamente oneroso – il pagamento del canone concordato».
Il secondo provvedimento, apparentemente dal contenuto ancor più restrittivo, è stato emesso dalla VI Sez. del Tribunale di Roma, ordinanza 45986/2020 del 16.12.2020 (quella, per intenderci, che ha ricevuto ampio risalto mediatico per aver trattato la questione dell’illegittimità dei DPCM).
Il caso trattato aveva ad oggetto la richiesta di riduzione del canone da parte del conduttore moroso di un immobile adibito a negozio. La motivazione a sostegno dell’istanza andava ricercata nella <<grave crisi scaturita dalla pandemia>>.
Il Tribunale è stato di avviso contrario.
Secondo il giudice, infatti, il divieto temporaneo di utilizzo del locale imposto dalla normativa emergenziale non <<determina l’impossibilità per il conduttore di utilizzare l’immobile>>.
Né ha avuto particolare presa l’argomentazione difensiva relativa ai mancati incassi che avrebbero determinato l’impossibilità di adempiere alla propria obbligazione del pagamento del canone. Secondo il giudice di merito, infatti, <<il periodo interessato non è tale da esulare dal cd. rischio di impresa>>. Aggiungendo che la rappresentata eccessiva onerosità della prestazione <<deve attenere ad aspetti obiettivi e non alle condizioni soggettive del conduttore>>.
E’ un’ordinanza che farà senza dubbio discutere per la sua evidente severità. Ma non solo. Il provvedimento è passato agli onori della cronaca per via della questione in essa trattata (come accennato) relativa all’asserita illegittimità dei DPCM. Per completezza sul punto e senza entrare nel merito del pensiero del Tribunale capitolino, v’è da dire tuttavia che le “spinose” considerazioni espresse in proposito non potranno avere alcuna conseguenza pratica, in quanto la questione non è stata accompagnata dal rinvio, che ben il Tribunale avrebbe potuto operare, davanti alla Corte Costituzionale, unico organo deputato al sindacato di legittimità o meno rispetto alla nostra Carta Costituzionale di un provvedimento normativo.
Stefano Manso