Acquisti online e prodotto non conforme o difettoso: chi paga?

In questo ultimo periodo si sta assistendo ad un progressivo, quanto prevedibile, incremento del cd. e-commerce.

Secondo quanto riferito dal reportIl ruolo e il contributo dell’e-commerce e del digital retail alla crescita e alla trasformazione digitale”, presentato da Netcomm, in collaborazione con The European House – Ambrosetti, nel 2020 in Italia il fenomeno ha generato ricavi per 58,6 miliardi di euro, con un incremento di circa 3,5 miliardi di euro (trend del + 18% degli ultimi 5 anni).

Certamente i dati sono da leggersi alla luce delle restrizioni, più o meno incisive, finalizzate al contenimento del fenomeno pandemico in corso, temporaneamente imposte a tante attività commerciali e non. Ma non solo, atteso che l’incremento rilevato è riferito ad un arco temporale più esteso al quinquennio.

Senza entrare nel merito della sentita necessità di salvaguardare la sopravvivenza dei negozi e delle “botteghe”, che pur, da cittadini, ci sta evidentemente a cuore, da operatori del diritto ci limitiamo a prevedere un’esponenziale crescita dei casi legati al commercio elettronico, che andranno ad occupare le aule delle nostre corti.

2. Legittimazione passiva. Tradotto: chi paga?

Tizio, consumatore, ordina su Amazon (citiamo, a titolo esemplificativo, la maggiore piattaforma mondiale) il prodotto X, venduto dal venditore Alfa. Quando a Tizio viene recapitato il bene scopre che X non è conforme a quanto ordinato, oppure presenta determinati vizi; o anche, il bene non gli viene mai consegnato; o ancora,  trattasi di prodotto difettoso che cagiona dei danni. 

L’acquirente intende dunque segnalare il problema per chiedere un rimborso o ottenere la sostituzione del prodotto, ovvero risolvere il contratto se questo non gli viene mai consegnato o, ancora, ottenere un risarcimento ove il prodotto sia difettoso.

A chi si rivolge? Sorge in capo al provider (Amazon nell’esempio) una forma di responsabilità? Con particolare riferimento al provider citato ci si riferisce ad Amazon Marketplace, piattaforma che si limita ad esporre i prodotti, poi acquistati dal cliente direttamente dal venditore. Su Amazon Retail, viceversa, il cliente acquista i prodotti direttamente da Amazon, che sarà, per l’effetto, responsabile, in quanto venditore a tutti gli effetti.

Allo stato attuale, la disciplina sul commercio elettronico si rinviene nella Direttiva n. 2000/31/CE, recepita dal legislatore italiano con il D. Lgs. 70/2003.

In estrema sintesi, la normativa comunitaria citata esclude in linea di massima la responsabilità del provider, cui riserva, quale unico obbligo, quello di informare le autorità competenti delle presunte attività o informazioni illecite.

La responsabilità sarà dunque in capo al solo venditore od al produttore. In quali termini?

3. Prodotto viziato o non conforme

La normativa di riferimento è quella che il Codice del Consumo (D. Lgs. n. 206/2005) prevede in ordine ai cd. contratti a distanza (tra i quali, evidentemente, quelli conclusi attraverso piattaforme di e-commerce).

Saranno pertanto esclusi dal presente ambito applicativo i contratti conclusi tra fornitore e soggetti che non acquistano in qualità di consumatore.

Ciò doverosamente puntualizzato, ricevuta la merce non conforme, in capo all’acquirente sorge il preliminare onere di denunciare il vizio entro due mesi dalla scoperta. Si badi bene: il termine è posto a pena di decadenza. Ciò significa che, decorso tale termine senza avere proceduto alla denunzia e in difetto di spontaneo riconoscimento da parte del fornitore, il consumatore perderà la possibilità di esercitare i diritti che la legge appronta in suo favore.  

Vediamo quali.  

In primo luogo il consumatore ha diritto alla riparazione o alla sostituzione della merce. Gratuitamente ed in tempi celeri. Il consumatore può invece domandare la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto nei seguenti casi:

a) la riparazione o la sostituzione del prodotto è troppo onerosa o impossibile da realizzare; b) il venditore non ha provveduto alla riparazione o alla sostituzione entro un termine adeguato alle necessità dell’acquirente; c) la sostituzione o la riparazione ha arrecato notevoli inconvenienti a quest’ultimo.

Attenzione a non indugiare. Il Codice del Consumo stabilisce infatti che l’azione diretta a far valere i difetti non dolosamente occultati dal venditore si prescrive, in ogni caso, nel termine di ventisei mesi dalla consegna del bene. Pertanto, il diritto del consumatore si estinguerà ove non azionato in giudizio entro il termine indicato.

4. Mancata consegna

Sin qui abbiamo velocemente passato in rassegna i rimedi relativi ai vizi o alla non conformità del bene. Ma cosa succede se la merce non viene consegnata?

Il Codice del Consumo, intanto, precisa che la consegna deve avvenire entro 30 giorni e che si intende perfezionata nel momento in cui l’acquirente entra nella disponibilità materiale o ha il controllo del bene acquistato. E’ fatto comunque salvo un diverso termine pattuito tra le parti. 

Scaduto tale termine concordato o quello perentorio di 30 giorni, il consumatore, cui non fosse stato recapitato il bene acquistato, può sollecitare, con raccomandata a.r., la consegna entro un termine supplementare.

Importante sottolineare che il consumatore non si trova, in linea di massima, obbligato all’estensione sopra descritta, essendo titolare di un diritto potestativo, che potrà dunque scegliere se esercitare o meno.

Viceversa, l’estensione del temine diventa obbligatoria quando “appropriato alle circostanze”: l’esempio tipico è quello delle merci appositamente confezionate o acquistate per una specifica operazione di vendita, ovvero ancora quando si tratti di beni che il venditore, ove non accettati dal consumatore, si troverebbe nell’impossibilità di rivendere.

Al contrario, l’estensione non è mai prevista per le ipotesi in cui il termine di consegna sia da intendersi come essenziale: esempio paradigmatico è quello dell’acquisto dell’abito da sposa, il cui termine di consegna non può evidentemente scadere successivamente alla data delle nozze.

Quali rimedi?

Ove il bene non venga in definitiva consegnato, il consumatore avrà diritto alla risoluzione del contratto. Per l’effetto, questi rinuncia definitivamente alla ricezione della merce ma al contempo avrà il diritto alla restituzione di quanto corrisposto. La domanda risolutoria può essere accompagnata da quella volta ad ottenere il risarcimento del danno (patrimoniale e non patrimoniale)..

5. Un’ipotesi ancora diversa: il prodotto difettoso.

Fattispecie differente da quelle sino ad ora trattate è quella relativa alla vendita di un prodotto difettoso. Si pensi all’ipotesi in cui il bene acquistato, in ragione del difetto, causi dei danni (morte, lesioni personali, danni a cose di uso privato), sia all’acquirente che a terzi (l’estensione della legittimazione attiva ai terzi deriva dal fatto che la responsabilità sottesa non è di natura contrattuale ma extracontrattuale o aquiliana).  

Tali fattispecie sono parimenti disciplinate dal Codice del Consumo (artt. da 114 a 127) che fornisce la definizione di prodotto difettoso: “quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere”. I danneggiati, in tal caso, possono agire, non già contro il venditore, né, come detto, contro il provider, ma contro il produttore.

Quale danno è risarcibile?

Ai sensi dell’art. 123 del Codice del Consumo i danni risarcibili sono:

“a) il danno cagionato dalla morte o da lesioni personali ;

b) la distruzione o il deterioramento di una cosa diversa dal prodotto difettoso”, con due limiti:

– deve trattarsi di una cosa “normalmente destinata all’uso o consumo privato e così principalmente utilizzata dal danneggiato”;

– il danno alla cosa è risarcibile “solo nella misura che ecceda la somma di euro trecentottantasette

6. “De iure condendo” – Spunti da oltreoceano: il caso Angela Bolger vs. Amazon

La domanda che ci siamo posti in esordio del presente contributo non sia ritenuta manifestazione di sterile esercizio di stile ma sia letta come aggiuntiva voce nel coro di chi invoca maggiori tutele per i consumatori.

Chi paga? Come visto, allo stato, unici destinatari dei rimedi a tutela del consumatore sono il venditore o il produttore.

Vero è che non sempre è agevole interfacciarsi con questi due soggetti, spesso operanti all’estero. Non solo. Si pensi – non si è volutamente trattato l’aspetto specifico per non risultare dispersivi – che la responsabilità dal venditore passa al vettore o allo spedizioniere dal momento in cui la cosa viene loro consegnata per procedere poi alla distribuzione agli utenti finali, circostanza, quella del momento della consegna, che l’acquirente difficilmente è in grado di individuare.  

Con la conseguenza, per quanto sopra, che il consumatore non di rado finisce col rimanere privo di tutele.

In tal senso, non v’è chi non veda come un coinvolgimento in termini responsabilistici del provider, già percepito dall’acquirente come naturale interfaccia nella gestione delle eventuali problematiche legate al post-vendita, incrementerebbe enormemente il grado di tutela effettiva.

La speranza è che non ci si trovi lontani dal giorno in cui una simile estensione soggettiva di responsabilità possa materializzarsi.

In verità, la speranza è alimentata da una prima breccia in tale direzione, aperta da una corte californiana, con una recente, innovativa, decisione.  

Segnatamente, era accaduto che tale Angela Bolger avesse acquistato su Amazon una batteria per laptop che, rivelatasi difettosa,  era poi esplosa. Il sinistro aveva causato all’acquirente ustioni di terzo grado che l’avevano costretta ad un ricovero ospedaliero di due settimane.

Ebbene, il 13 agosto scorso, la California Fourth District Court, in funzione di giudice d’appello, ribaltando la decisione contraria del giudice di primo grado, ha stabilito  (Cal. Ct. App., 4th Dist., No. D075738 – Bolger vs Amazon.com Inc.) che Amazon può essere ritenuta responsabile per i prodotti difettosi venduti sul proprio Marketplace in California e ciò sull’assunto in forza al quale un provider riveste necessariamente un ruolo sostanziale nella catena di vendita del bene all’utente finale.

Il requisito dell’essenzialità delle attività del provider nella filiera si traduce con la sua partecipazione esclusiva nelle operazioni di marketing,  modalità di vendita e pagamento, consegna e restituzione dei prodotti acquistati.

Dal che si ricava, secondo i giudici statunitensi, che, in quanto parte integrante, il provider è tenuto a sopportare gli eventuali costi, nello specifico in termini risarcitori, derivanti dai danni provocati da prodotti difettosi.

Il principio posto dalla corte distrettuale è evidentemente innovativo. Peraltro, riconoscendo al provider un ruolo fattivo, appare pienamente estensibile anche alle ipotesi meno gravi rispetto a quella analizzata nel caso de quo, quali ad esempio la responsabilità per mancata consegna del bene o per difetto di conformità.

Certo è che il sistema statunitense, fondato sui principi di common law, attribuisce al giudice maggiore potere creativo nelle pronunce, fino a riconoscere alla pronuncia stessa valore di precedente vincolante.

Il nostro sistema di civil law, più garantista, da un lato, ma sicuramente più ingessato, dall’altro, non consente analoga elasticità, dovendo ogni modifica passare per una rivisitazione normativa.  

Vero è, allo stesso tempo, che il riconoscimento di simili principi a tutela del consumatore, oltre che auspicabili, potrebbe rivelarsi del tutto compatibile con quelli generali stabiliti dalla normativa europea e recepiti nella normativa interna dagli stati membri.

De iure condendo, ci si auspica dunque che l’innovativa decisione che ci viene da oltreoceano possa “dare il La” all’ormai non più procrastinabile processo di riforma, tanto in ambito comunitario che, di recepimento, nazionale, del settore dell’e-commerce, che si traduca, da una parte, in più pregnante tutela dei consumatori, e, dall’altra, in offerta di maggiori garanzie della concorrenza tra gli stessi operatori del settore.

Stefano Manso